Una Spa su misura
Chiamatela pure area benessere, spa o zona relax. E consideratela ancora a tutti gli effetti un plus.
È bene ricordare infatti che inserire uno spazio di questo tipo all’interno di un albergo porta con sé un incremento sui prezzi di listino che va dal tre al dodici per cento. Ma attenzione: tempo cinque anni e anch’esso diventerà un must indispensabile per qualunque struttura ricettiva. Dallo chalet incastonato all’ombra delle Dolomiti (dove già da qualche anno la costruzione di un’area benessere è una svolta di ordinaria evoluzione) al villaggio vacanze affacciato sulla costa. “Si tratta di un’evoluzione naturale, un po’ come è successo per il bagno in camera: negli anni Sessanta era considerato un vero e proprio valore aggiunto, oggi la sua presenza è data ovunque per scontata. E così è stato poi per la televisione e il frigobar in camera, oppure per la piscina”. A parlare è Daniele Cantoni, vent’anni di esperienza alle spalle nel mercato della cosmesi, dell’estetica e del benessere. Un settore in cui si sta lentamente creando una tradizione tutta italiana, di cui il nostro esperto è un indiscusso protagonista.
Cosa vuole oggi chi cerca il benessere?
Non più diete ipocaloriche e allenamenti faticosi, ma coccole. Prendiamo ad esempio una day spa: la persona non ci va per soffrire e tornare in forma ma per regalare un massaggio shiatsu al cliente d’affari o per scegliere tra una selezione dei migliori cioccolati al mondo.
Esistono realtà in cui l’area benessere non ha possibilità di successo?
No, se si rispettano alcune condizioni. La prima è che il progetto sia studiato a fondo, in tutte le sue variabili. In questo momento sto lavorando per creare una zona benessere all’interno di un albergo che si trova vicino a un aeroporto. Partendo dal presupposto che l’ottanta per cento della clientela sarà legata al volo aereo, sto analizzando cosa serve per offrire il benessere a questo tipo di target: quali trattamenti consentono di superare il jet lag, quali sono utili per ridurre il gonfiore alle gambe e così via.
E la seconda?
Che non si cada nell’errore di costruire una struttura per decidere poi, in un secondo momento, quale sarà la sua natura. Ad esempio non si può creare un percorso benessere standard e poi proporlo ai manager d’azienda. E’ necessario predisporre stanze in cui ci sono due lettini per i massaggi, o due vasche idromassaggio, in modo tale che l’uomo d’affari possa sfruttare il momento di relax per conversare con il suo cliente. La distanza stessa tra una vasca e l’altra va studiata attentamente: non può essere eccessiva per non rendere difficile il dialogo, ma non può nemmeno essere troppo ridotta, per non violare la privacy di due persone il cui rapporto è essenzialmente di lavoro. Guai a realizzare a priori la struttura rispetto all’obiettivo. Si rischia di creare una realtà ibrida, priva di personalità.
Zona umida, palestra, piscina, area beauty, spazio relax, kinderheim: il benessere è un quadro che si compone di numerosi elementi Su cosa deve puntare un imprenditore perché la sua realtà funzioni?
Anche in questo caso è una scelta soggettiva, che varia da una realtà all’altra, anche se alcuni elementi stanno diventando imprescindibili. L’area lounge ad esempio, un ambiente con musica d’intrattenimento, riservato alla socializzazione. O la zona relax, lo spazio in cui il cliente, dopo bagni e trattamenti, diventa cosciente di quanto si è trovato bene e decide di ritornare. Ma al di là delle diverse aree, ciò che conta è che ci sia una figura di riferimento che le colleghi tutte: un direttore che sia un po’ l’anima della struttura.
Per questo motivo non credo nelle realtà progettate, costruite e poi fatte gestire da esterni. Così come è impensabile affidare la cucina di un albergo a una società esterna di catering, allo stesso modo l’area benessere va coordinata da una figura interna. Il rischio è che le persone percepiscano lo spazio benessere come qualcosa di estraneo alla struttura, non in sinergia. Al contrario, ci deve essere un filo conduttore, si deve respirare la stessa atmosfera, come se tutto il personale sorridesse allo stesso modo. Non bisogna dimenticare infatti che il benessere è un valore globale: qualunque dettaglio fuori posto incide sulla sua qualità agli occhi del cliente.
Un albergatore le chiede di realizzare un’area benessere. Qual è il primo passo che compie?
Identifico che tipo di obiettivo il cliente vuole raggiungere. Che può essere molto diverso da una realtà all’altra: una struttura può aver bisogno di un aumento della stagionalità, un’altra di destagionalizzare gli ingressi, un’altra ancora di procurarsi nuova clientela. È il caso, ad esempio, di quegli alberghi che vivevano per lo più di turismo di provenienza americana. Per rimediare al calo di questo tipo di incoming hanno dovuto necessariamente recuperare altre fette di mercato. Mettere a punto un progetto dedicato al benessere è un po’ come realizzare un abito su misura. E la prima mossa è proprio valutare le reali esigenze di chi si ha di fronte: la mission appunto, ma anche la posizione geografica, l’esigenza della clientela, la concorrenza. Non è sufficiente costruire. Basti pensare che un’azienda costruttrice realizza in media una cinquantina di centri all’anno: come può occuparsi anche di uno studio sulle esigenze del cliente? Come può fornire una stima dei possibili costi energetici o un’indicazione sugli orari di apertura più opportuni?
Come saranno le aree benessere nel futuro?
Primo: saranno più ariose. L’utilizzo dello spazio è infatti uno degli elementi che determina il benessere. Viviamo in ambienti in cui anche lo spazio più piccolo viene sfruttato fino all’ultimo centimetro. E questo ci fa soffrire. Ecco perché nel momento in cui una persona entra in un’area benessere non può ritrovarsi in un luogo angusto. Al contrario, deve avere la possibilità di sentirsi libera e di respirare. Per rispettare questo principio bisogna stabilire con estrema precisione il numero di persone che possono entrare all’interno di ogni singola area. Certo, devono essere sufficienti a raggiungere il break even point, ma senza togliere agli altri la possibilità di vivere bene lo spazio.
Secondo: saranno gestite da meno personale. Attualmente all’interno di queste strutture c’è una media di tre operatori per ogni cliente. Bene, questo rapporto andrà invertendosi. Merito soprattutto degli spazi, che saranno sempre più funzionali: il cliente dovrà sentirsi accompagnato per mano, pur senza avvertire la presenza di troppo personale. E di alcune attrezzature, che permettono di regalare benessere senza l’intervento continuo di un operatore. Guardato con un occhio manageriale, questo vuol dire un maggior guadagno con una spesa inferiore.
E poi?
Ci sarà sempre più attenzione verso la scelta di soluzioni e materiali costruttivi naturali. Un esempio? L’utilizzo della luce. Nei centri di mia realizzazione c’è uno studio sulle fonti luminose, in modo tale che i raggi solari possano entrare attraverso rifrazioni all’interno del bagno turco, come era nelle strutture di un tempo. Le luci artificiali, che sono comunque ridotte al minimo, si trovano sempre immerse nell’acqua. Viviamo già, dal mattino alla sera, a contatto di contaminazioni elettriche, inquinamento acustico ed elettromagnetico. Per stare meglio l’organismo richiede il naturale. Si tratta di una linea d’azione che viene immediatamente percepita dal cliente e che già in questo momento distingue un semplice centro estetico da una vera area benessere. Basti pensare alla totale assenza di tecnologia all’interno delle camere nei resort in Indonesia o ai bagni a cielo aperto delle spa maldiviane.